Il seno ipotrofico o svuotato può rappresentare per la donna un problema non solo estetico ma anche psicologico, influenzando la propria femminilità. La mastoplastica additiva è indicata per correggere questo inestetismo, considerando l’impatto emotivo del cambiamento. Le motivazioni per un intervento di questo tipo possono includere il desiderio di aumentare il volume del seno quando quello attuale non è soddisfacente, ripristinare il volume perso dopo la gravidanza o un intervento chirurgico post-oncologico, e migliorare la simmetria.
La mastoplastica additiva consiste nell’aumentare il volume del seno tramite l’inserimento di protesi mammarie (sopra o sotto il muscolo pettorale) o tramite l’iniezione di tessuto adiposo autologo secondo le tecniche del lipofilling. Le protesi, di varie dimensioni e forme (anatomiche o rotonde), sono riempite con silicone o soluzione fisiologica. Studi scientifici hanno dimostrato nel tempo che le protesi non aumentano il rischio di patologie tumorali.
Il silicone è una combinazione di silicio, ossigeno, carbonio e idrogeno, utilizzato ampiamente in settori come l’alimentare e il medicale per la sua sicurezza e biocompatibilità. È presente in numerosi prodotti di uso quotidiano come cosmetici, detergenti, e dispositivi medici, sottolineando la sua versatilità e affidabilità nel tempo.
È importante comunicare al chirurgo eventuali trattamenti con farmaci, specialmente quelli per la pressione, il cuore e l’anticoagulazione. È fondamentale sospendere l’assunzione di farmaci contenenti acido acetilsalicilico e FANS in generale per ridurre il rischio di sanguinamento durante e dopo l’intervento chirurgico.
La paziente deve segnalare eventuali patologie mammarie, come fibroadenomi, e potrebbe essere consigliata a sottoporsi a una visita senologica preventiva per escludere la presenza di noduli sospetti nel tessuto mammario.
È necessario smettere di fumare o ridurre drasticamente il consumo almeno quattro settimane prima dell’intervento per favorire una guarigione ottimale delle ferite chirurgiche.
Di solito la mastoplastica additiva viene eseguita sotto anestesia generale, con ventilazione assistita, specialmente quando si posizionano le protesi sotto il muscolo.
Il tempo medio necessario per questa procedura varia in base alle incisioni e alle specifiche del caso clinico. A seconda del tipo di protesi e delle caratteristiche fisiche della paziente, si procede con il posizionamento delle protesi dietro la ghiandola mammaria o dietro la fascia muscolare nel caso in cui la ghiandola non fornisca una copertura sufficiente. Nei casi necessari, possono essere utilizzati tubi di drenaggio che vengono mantenuti per le prime 48 ore post-operatorie. La durata totale dell’intervento chirurgico è approssimativamente di un’ora e mezza.
Dopo l’intervento chirurgico, il dolore è gestito attraverso terapia analgesica anestesiologica immediata, seguita dall’assunzione di antidolorifici secondo necessità nei giorni successivi. Nei primi giorni viene applicato un bendaggio specifico, mentre per il primo mese post-operatorio è necessario indossare reggiseni conformatori, concordati preventivamente con il chirurgo, 24 ore al giorno. È richiesto circa 5-6 settimane per ottenere la dimensione esatta e la corretta posizione definitiva della protesi mammaria.
I drenaggi solitamente vengono mantenuti per circa 48 ore, mentre i punti di sutura esterni, se presenti, vengono rimossi tra il settimo e il decimo giorno. La paziente può riprendere le normali attività quotidiane già dopo 4-5 giorni, facendo attenzione a non stressare i muscoli pettorali; è consigliabile evitare attività sportive per le prime 6 settimane.
Nel caso di una gravidanza successiva all’intervento, non ci sono ostacoli all’allattamento, poiché nessuna tecnica chirurgica prevede interruzioni dei dotti ghiandolari o compromissione della funzionalità.
Pur essendo tutti gli interventi chirurgici soggetti a un certo rischio, la mastoplastica additiva, eseguita con precisione su pazienti senza condizioni che possano interferire, può presentare complicanze generali e specifiche associate a questo tipo di operazione.
Una delle complicanze più comuni è la contrattura capsulare, caratterizzata dalla formazione di una capsula di tessuto fibroso intorno alla protesi, una reazione naturale dell’organismo al corpo estraneo. Idealmente, questa capsula è sottile e flessibile, ma a volte può ispessirsi e contrarsi, comprimendo la protesi e rendendola rigida e immobile. La contrattura capsulare può essere trattata con una capsulotomia, un’incisione della capsula che può essere chiusa o aperta. Tuttavia, la capsulotomia chiusa è ora considerata rischiosa perché può causare la rottura dell’impianto, quindi spesso è necessario un ulteriore intervento chirurgico per rimuovere o incisione della capsula.
La sensibilità del capezzolo può aumentare, diminuire o anche essere completamente persa, specialmente nelle incisioni periareolari, e potrebbero essere necessari mesi per ripristinare le sensazioni originali.
Le protesi mammarie possono sgonfiarsi o rompersi per usura, difetto o trauma. La perdita di volume può avvenire in qualsiasi momento anche senza causa apparente. Le cause più comuni includono l’usura del guscio in silicone, danni durante l’intervento chirurgico o rottura a causa di un trauma. In questi casi, il contenuto dell’impianto può disperdersi nel corpo e causare infiammazione e tumefazioni irregolari dei tessuti circostanti, fino alla formazione di granulomi (siliconomi). Questo è raro con le protesi di ultima generazione ad impianto altamente coesivo.
Altre complicanze possono includere la formazione di ematomi o sieromi. Un ematoma è una raccolta di sangue coagulato nel parenchima mammario, mentre un sieroma è una raccolta di fluido nella tasca periprotesica. Per quantità lievi, è possibile che vengano riassorbiti dall’organismo, ma in caso contrario potrebbe essere necessario un intervento chirurgico per il drenaggio meccanico e prevenire che la raccolta fluida interferisca con la formazione della capsula protesica.
L’infezione può verificarsi subito dopo l’intervento o successivamente nel tempo. Si manifesta con febbre, dolore, eritema e tensione nella regione dell’impianto protesico. Generalmente può essere trattata con successo con antibiotici, ma talvolta potrebbe essere necessario drenare una raccolta o rimuovere l’impianto stesso.
È fondamentale che qualsiasi complicanza, anche minima, venga gestita con competenza e professionalità dal chirurgo curante, affrontando ogni situazione secondo le migliori pratiche chirurgiche.
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